Immerso nella campagna emiliana, il Labirinto della Masone è un parco culturale unico e sorprendente. L’architettura, la collezione d’arte, che comprende raffinatissimi Memento mori e Vanitas, e il labirinto trasportano il visitatore in un’altra dimensione.
L’architettura si esprime attraverso forme pure ed essenziali progettate da Pier Carlo Bontempi e Davide Dutto. Tra gli elementi che spiccano per originalità, segnaliamo la cappella a forma di piramide, antica struttura monumentale, utilizzata per diverse funzioni. Le più famose, ma non sono assolutamente le uniche, sono quelle egizie, che svolgevano una funzione funeraria, custodivano infatti la tomba del faraone.
Oltre alla cappella a forma di piramide, il parco culturale voluto da Franco Maria Ricci, uomo coltissimo ed editore raffinato, offre la possibilità di perdersi in un labirinto di bambù che copre una superficie di ben sette ettari.
Non solo, il parco offre al visitatore la possibilità di scoprire la collezione d’arte di Franco Maria Ricci (circa 500 opere dal Cinquecento al Novecento) e la biblioteca dedicata ai più illustri esempi di tipografia e grafica, tra cui molte opere di Giambattista Bodoni (su cui Ricci ha curato recentemente uno splendido volume monografico) e l’intera produzione di Alberto Tallone.
La collezione d’arte raccoglie veri e propri capolavori di grandi artisti, da Gian Lorenzo Bernini ad Antonio Canova, da Francesca Hayez ed Antonio Ligabue.
Un’intera sala è dedicata ai temi del Memento mori e delle Vanitas, nature morte con teschi, spesso granguignolesche, ossia riconducibile a motivi teatrali orripilanti, macabri e raccapriccianti.
All’interno di questa curiosa sala, la Vanitas di Jacopo Ligozzi, ricordato come “pittore universalissimo” per la sua abilità nel disegnare naturalia, e per le sue qualità di ritrattista, sa colpire e inquietare l’osservatore che assiste alla decomposizione di una testa.
Altro dipinto dedicato a questo tema è Memento Mori di Maurizio Bottoni del 1950, che interpreta con uno sguardo e un gusto novecentesco l’antico tema del “ricordati che devi morire”. La rappresentazione è dettagliata, lenticolare e perfettamente a fuoco, i colori sono intensi e la luce è utilizzata in modo teatrale per conferire maggio drammaticità all’insieme.
Nella parte inferiore del dipinto, l’artista, ricordando i grandi maestri della pittura veneziana, come Giovanni Bellini o Giorgione, dipinge un cartiglio su cui viene riportato un monito che vuole veicolare un messaggio positivo: la pittura figurativa, più volte data per estinta, risorge sempre.
Le nature morte iperrealiste dell’artista sono silenti e misteriose. Per l’artista fu fondamentale l’incontro con Giorgio De Chirico, maestro dell’enigma per eccellenza.
Veramente inquietante è la Vanitas di scuola spagnola, ambito di Juan de Valdes Leal (1622-1690) in cui è rappresentato il corpo di un Vescovo in fase di decomposizione.
In oro viene riportato il motto “Post hominen vermis, post vermem fetore et horror, sic in non hominem vertitur omnis homo”, vale a dire: “Dopo l’uomo c’è il verme, dopo il verme ci sono puzza e orrore, così ogni uomo si trasforma in un non-uomo.